sabato 11 giugno 2011

L'ideologia fa il referendum

Mi permetto, in extremis, alcune considerazioni sui referendum di domani e dopo. Sulle ragioni dei miei quattro sì, sul loro contenuto, sulla gestione della propaganda, sull'occasione di dibattito vero mancata.
E parto proprio da qui, perchè il modo in cui è stata gestita la propaganda proprio non mi è piaciuto. Perchè soprattutto per quanto riguarda acqua e nucleare, le questioni sono davvero complesse e articolate. E l'ideologizzazione del problema non fa il gioco di nessuno, se non quello della disinformazione.


Partiamo dall'acqua.
L'acqua è un bene strano: tendiamo a chiamarlo "bene pubblico" (sottintendento probabilmente la necessità che il bene-acqua sia accessibile a tutti) quando in realtà, tecnicamente, non può esserlo. Un bene pubblico, difatti, possiede due caratteristiche: la non rivalità e la non escludibilità nel consumo. In altre parole, in primis, il mio consumo di quel bene non implica che tu non possa consumare lo stesso bene nello stesso momento; in secundis, è difficile escludere qualcuno dal consumo di quel bene.
Con questa definizione pare chiaro che l'acqua non può soddisfare completamente questi due principi, e che dunque il dibattito va gestito in altri termini.
Ad esempio, dobbiamo ricordarci che l'acqua è anche un bene naturale scarso, che deve essere preservato per il futuro del nostro pianeta.
Cosa significa questo? Che nella riflessione sulla gestione idrica bisogna conciliare la dimensione dell'accessibilità con quella del risparmio e della preservazione della risorsa.
Ciò che è interessante è che le due dimensioni sono tenute insieme da un'unica variabile: il prezzo dell'acqua. Una tariffa alta, ad esempio, pone un problema in termini di equità dell'accesso, ma è probabile che riduca gli sprechi domestici (come è successo a Singapore). Una tariffa bassa (come quella odierna), invece, garantisce acqua accessibile a tutti senza però porre nessun disincentivo ai consumi sconsiderati.
Il prezzo, dunque, è un elemento chiave per regolare simultaneamente i due meccanismi.
Si potrebbe, forse, ragionare su una tariffa a scalare, che garantisca a tutti l'accesso per i primi X litri pro capite giornalieri, aumentando poi per disincentivare ulteriori consumi non strettamente necessari.
Non è una ricetta magica, ma parlare, ad esempio, di questo, invece che ideologizzare il dibattito e congelarlo su posizioni estreme, farebbe senz'altro bene a tutto il paese. E la tariffa è solo uno degli aspetti interessanti. Il ruolo dei capitali privati e la reale possibilità del pubblico nel miglioramento delle reti idriche, l'importanza di un'authority regolatrice, il focus sulle buone pratiche pubbliche e private, l'attenta analisi del decreto Ronchi (che obbliga! a privatizzare le gestioni)... ecco, tutto questo è passato in secondo piano, tutti presi com'eravamo a dividere, come spesso accade, il mondo in buoni (il pubblico) e cattivi (il privato), creare un clima di terrore dipingendo scenari di catastrofica siccità o brandendo slogan spesso insignificanti e devianti.

Ma veniamo al nucleare.
Anche qui, a fronte di una serie incredibilmente varia di questioni da dibattere, il focus si è concentrato quasi esclusivamente sulla sicurezza, almeno per quanto riguarda il fronte del "si". Manifesti del terrore, evocazione di catastrofi epocali, alimentazione e strumentalizzazione delle paure.
Ma se il tema della sicurezza è senz'altro qualcosa su cui riflettere, vero è che è solo uno (e, a mio avviso, non certo il principale) dei motivi per rifiutare la svolta nucleare. Ma purtroppo delle questioni economiche, delle vere ragioni che sottostanno al nostro caro-bolletta (dalle mancate liberalizzazioni al meccanismo perverso con cui si crea il prezzo dell'elettricità), della relazione tra investimenti in nucleare e in rinnovabili, delle reali tempistiche di costruzione, nonchè della gestione delle scorie, pochissimo si è parlato.

Se per il sostegno di Giuliano Pisapia le energie creative si sono sprigionate con incredibile efficacia, questa volta, mi duole dirlo, le stesse forze si sono (spesso, non sempre) appiattite verso il basso, schiacciate nella banalizzazione dei problemi, rese complici di disinformazione.
Forse un'informazione (a 360 gradi) diversa, attenta a consapevolizzare la popolazione e liberarla da ogni posizione aprioristica ed ideologica, meno occupata ad impressionare artificialmente con l'effetto Fukushima (o quello "deserto-del-Sahara") ma volta ad informare sulla molteplicità delle ragioni che stanno alle spalle di ogni problema (specialmente quando sono così complessi e decisivi), finirebbe per non dare i risultati attesi in termini di quorum.
Ma senz'altro un popolo che ragiona con la testa invece che con la pancia è un popolo più degno, più maturo, meno manipolabile e più pronto ad intercettare, accogliere o rifiutare le sfide che il futuro ci riserverà.
Faccio anch'io un mea culpa per non aver cercato di innescare, nel mio piccolo, un dibattito in questa direzione. Speriamo che l'occasione mancata non comprometta, anche in futuro, la nostra capacità di argomentare dei seri "no" (o dei seri "si") quando le nostre risposte saranno di importanza cruciale per il futuro del nostro paese.